“Un giorno mi dirà: ‘Papà, com’è stato il tuo ultimo anno a scuola? Figliolo, appartengo alla generazione Covid…'”

Ci scrive il nostro giovane lettore Rodolfo:

 

 

 

Il Covid-19 ha stravolto la vita di tutti, sotto molti aspetti e l’istruzione è certamente uno di questi: immaginavo un ultimo anno di scuola diverso, trascorso in compagnia di coloro i quali hanno condiviso con me l’ultima fase della mia formazione, vivendo insieme e sostenendoci l’un l’altro sotto il peso dell’ansia pre-esami.

Avrei voluto vivere una “notte prima degli esami” come tutti gli altri, ascoltando Venditti e cantando a squarciagola frasi del tipo “tuo padre sembra Dante e tuo fratello Ariosto”, avrei voluto saltare qualche caldo giorno di scuola e puntare dritto verso l’amata e odiata costa tirrenica, per vivere insieme i primi giorni dell’ultima estate da liceali, avrei voluto salutare degnamente i miei professori, gioia e dolore degli appena trascorsi 5 anni della mia vita.

La maturità è a tutti gli effeti un “Cult” per ogni italiano, tutti ricordano la corsa fatta la mattina della prima prova per prendere gli ultimi posti, tutti ricordano le strategie più disparate per cercare di copiare qualcosa durante la fatidica seconda prova, tutti hanno impressi nella loro mente i volti dei docenti al momento della prova orale.

E io, cosa avrò impresso nella mia mente, se non la monotonia di un piatto tablet, diventato ormai unico mio compagno di studi?
Chi mi darà indietro tutti quei momenti irripetibili che mi stanno passando davanti?

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“Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.”
Orazio (Odi 1,11,8)

Affrontando il tema della fugacità del tempo non posso che citare Orazio e parafrasando i suoi versi riesco ad esprimere pienamente ciò che il mio animo avverte in questi giorni: mentre parliamo, il tempo invidioso, crudele, malvaggio, fugace, fugge: cogli l’attimo, credendo quanto meno possibile nel futuro.

Cosa posso io cogliere all’interno della prigione nella quale, senza colpe, sono costretto a vivere? Che attimo posso vivere intensamente, dal momento in cui, la cosa più entusiasmante che mi ritrovo a fare è mangiare?

Nel piattume della quarantena spesso penso all’oggi e mi viene spontaneo ritrarre la mia vita attuale come un cerchio, bianco e vuoto, il quale, da qualunque lato venga percorso, non è altro che simile a sé stesso; una circonferenza, non intesa in senso aristotelico come espressione della perfezione, bensì come espressione della più grigia monotonia, della tetra normalità, intesa come l’assenza di luce e calore nella notte più buia e gelida.

La sensazione è quale di veder passare davanti ai propri occhi, una delle fasi fondamentali della propria vita e mentre urlo a squarciagola al mondo di aspettarmi, al tempo di arrestarsi, per favore, realizzo come tutto sia sordo, come il tempo sia sordo nella sua immane corsa.

Mi ritroverò un giorno davanti ai miei figli, i quali mi chiederanno:
– “Papà, papà: com’è stato il tuo ultimo anno di scuola?” – “Figliolo, io appartengo alla generazione Covid…”

DEDICATO AI MIEI COMPAGNI DI CLASSE E A TUTTI I MATURANDI DEL 2020

 

Rodolfo Palumbo