Lettere 2.0: “Mia mamma non c’è più …perchè non è voluta tornare in ospedale a soffrire …”

Riceviamo il racconto della nostra lettrice Rita:

Buongiorno, vi scrivo in quest’alba di fine novembre 2024. Mia mamma si chiama Renata, dico ‘si chiama’ perché anche se fisicamente non è più su questa terra, la sua anima vive, al cospetto di Dio.

Mamma ha abbracciato un’infinità di croci, nella sua vita, tanta sofferenza, come fece Cristo. Con misericordia e amore infinito. Mamma è volata in cielo alle ore 6:12 del giorno di ognissanti, venerdì mattina. Mamma avrebbe potuto continuare ad essere qui con noi, ancora per un po’, se il suo cardiologo ci avesse consigliato di ricoverarla prima che arrivasse un’I.M.A. da discrepanza.

Superato l’infarto, grazie alle cure amorevoli del reparto di terapia intensiva cardiologica, si è dovuto fare i conti con l’ipotesi di chiusura dell’auricola. Mamma aveva appena superato i sanguinamenti grazie all’alimentazione parenterale, poi svezzata un po’ affrettatamente ha subito una fortissima infiammazione interna ed esterna che avrebbe richiesto supporto immediato del personale OSS, invece un essere bieco, del reparto di cardiologia, ha esercitato violenza verbale su una povera donna ossa e pelle, che supplicava solo di essere lavata.

La sono corsa a prendere alle dieci del mattino del nove ottobre, ci supplicava di riportarla a casa, con l’ambulanza, ignara di tanta atrocità. La nostra speranza era di rimetterla in forze per poter affrontare questo necessario intervento chirurgico. Ma purtroppo non è andata cosi.

Purtroppo mamma ha urlato disperata due giorni e due notti, da lacerare il cuore, per l’arrossamento inumano interno ed esterno che aveva. Poi quando finalmente ha iniziato a placarsi questa ennesima sofferenza, ci ha confidato ciò che aveva subito in reparto, in quei due giorni assurdi, dal sette al nove ottobre.

Il suo cardiologo, nonostante io avessi chiesto di darci il tempo di prepararla con estremo tatto al pericoloso per lei intervento che avrebbe dovuto affrontare, il suo cardiologo le ha detto a bruciapelo: voi avete avuto un infarto, e dovrete essere sottoposta ad un intervento chirurgico per voi assai rischioso…

Mamma giorno otto ottobre mi ha detto: non è vita, questa, mi opero. Come dire: mi arrendo alla morte. Noi non abbiamo permesso che ciò avvenisse, mamma era debilitata, molto provata, abbiamo fatto di tutto per poterla fare riprendere, ma una febbricola andava e veniva, e se da un lato il valore dell’emoglobina risaliva lentamente, e tutto faceva pensare all’influenza di stagione, la stanchezza aumentava sempre di più, le forze venivano meno…

Spesso in questi venti giorni mi ha chiesto: che dici, torno in ospedale? Io rispondevo: appena sei convinta, ti ci riporto subito. Poi la paura di dover nuovamente subire i traumi gratuiti e inappropriati ci bloccava. Mi porterò nella tomba il rimorso di non aver insistito a farla decidere, di non aver combattuto abbastanza come ho sempre fatto ogni volta, a dispetto di tutto e tutti, salvandola.

Vivo un doppio dolore, atroce, da impazzire. Mamma aveva tanta voglia di vivere, di combattere, di curarsi…

Giorno 29 ottobre inizia ad avere crisi epilettiche violentissime, arriva un’ambulanza, poi un’auto medica, litigano tra loro, minaccio di denunciare tutti se non portano immediatamente mamma in ospedale. Le crisi durano dodici lunghe ore. Inizialmente mamma è cosciente, al mio invito a chiudere e aprire gli occhi mi asseconda, poi leggo solo il terrore nel suo viso, nei suoi occhi.

La Dottoressa la ricovera in medicina Valentini dell’Annunziata, qui viene sedata, riceve cure degne e adeguate per affrontare una morte meno dolorosa possibile, si spegne lentamente. Mamma aveva il polmone destro completamente otturato da muchi. L’esito delle analisi del materiale prelevato con broncoscopia è risultato negativo ad infezioni, ma il nove ottobre era stata dimessa dalla cardiologia senza aver avuto tutti i valori adeguati.

Ha fatto un’agonia di venti lunghi giorni, a casa, non elaborerò mai completamente questo assurdo lutto. Ogni giorno che passa il dolore è un crescendo, le scrivo solo affinché si possa un attimo riflettere prima di rivolgersi ad un paziente fragile, e mettersi nei panni di una donna che sono certa ora sia al cospetto di Cristo, ma che avrebbe potuto essere ancora qui con noi per qualche anno ancora, risparmiandosi queste sofferenze ingiuste.

Non siamo altro che granelli di sabbia, insignificanti, tutti, nessuno escluso. Ogni istante potrebbe essere l’ultimo, per ciascuno di noi in questa vita terrena. Questo dovrebbe essere il primo motore di coscienza per ciascuno di noi, il motivo per cui impegnarsi ognuno a vivere con estrema umiltà, ricordando le nostre fragilità e limiti, e con misericordia verso il prossimo.

Guai a chi si mette al di sopra di Cristo, sentendosi infallibile. Inevitabilmente, accecato dalla propria superbia, finirà col mietere innocenti vittime, sul suo cammino. Mamma dodici anni fa era in chirurgia d’urgenza, reduce di intervento di resezione ileale, ottavo giorno di prognosi riservata, nella notte tra il sette e otto marzo, aveva vissuto una pausa premorte, ed era stata dalle due del mattino alle sei in Paradiso.

Aveva 69 anni, era tornata da noi, regalandoci dodici anni del suo amore sconfinato. Stavolta dalle due alle sei e dodici del mattino ci ha detto addio, in coma sedato, esalando il suo ultimo respiro con noi figli attorno al suo letto di ospedale, nel giorno di Ognissanti.

Ora la sua anima vola libera e leggera, libera da sofferenze umane. Il mio vuole essere un monito a tutti coloro che commettono gli stessi sbagli di questi due soggetti, che per la loro arroganza e supponenza hanno portato mamma a covare setticemia, in casa, perché terrorizzata dal dover tornare in ospedale.

Prego Dio che si arrivi ad ottenere controlli adeguati nei reparti, e supporto umano e psicologico adeguato per ogni vita umana, lavorando con coscienza e saggezza. E che chi ha sbagliato, riceva le giuste punizioni…

Vi prego di pubblicare queste parole perchè vorrei fare qualcosa per chi soffre ingiustamente. Spero di riuscirci con tutte le mie forze, affinché le sofferenze di mamma non siano state vane…

Rita