Lettere 2.0: “La mia drammatica esperienza con la sanità calabrese. Al dolore si aggiunge un’immensa rabbia”

Riceviamo le parole di un nostro lettore:

 

Buonasera Cosenza 2.0, voglio raccontarvi la mia esperienza con la sanità calabrese. Abbiamo scoperto che mio padre si è ammalato di tumore ai polmoni a inizio novembre 2023 e da lì è iniziato il calvario.

Prenotazioni dopo un mese abbondante per una visita oncologica, interventi e risultati per la biopsia un altro mese abbondante, insomma quasi 3 mesi per iniziare un ciclo di chemioterapia che per un tumore ai polmoni, che galoppa di giorno in giorno, sono assolutamente troppi.

In onestà devo dire che per alcune visite i tempi si sono ridotti a pochi giorni o settimane, grazie ad amicizie che di fronte all’urgenza sono riuscite ad accorciare i tempi.

La triste storia però non finisce qua. Giorno 1 febbraio 2024 mio padre è a casa e sta più male del solito: respiro molto affaticato, sbandamenti, gambe gonfie e liquido che fuoriesce dalle stesse, decidiamo di trasportarlo in pronto soccorso e chiamiamo il 118.

Arriva l’autoambulanza con un autista che non sapeva la strada, un medico che faticava a leggere le analisi fatte fino a quel momento e un infermiere maleducato. Dopo i controlli di pressione, saturazione, ecc., in cui sono stato richiamato dall’infermiere in malo modo per 2 volte a non stare vicino alla sua borsa (gli spazi erano ristretti), ci hanno fatto notare che mio padre non era da codice rosso per come a loro era stato indicato, ma che lo potevamo portare anche in macchina…

In ogni caso, invitano mio padre a salire da solo sull’autoambulanza, ma mio padre non era in grado di farlo e allora con scocciatura prendono la barella, aiutiamo mio padre a distendersi sopra di essa, e l’infermiere (maleducato) dice, con tono molto stizzito: e mo io comu fazzu ara piglià?

Di fronte a ciò mi sono offerto di prenderla io al posto suo, assieme all’autista, ma ha rifiutato e in modo sgarbato prende la barella con irruenza e fa sbattere mio padre con la spalla, già dolorante, contro un mobile…

Al chè l’ho avvisato che doveva STARE CALMO, MOLTO CALMO (quando in realtà l’unica cosa che avrei voluto fare in quel momento era ben altro). Ovviamente vedendo l’andazzo chiedo al medico di poter salire con mio padre in ambulanza perché non mi fidavo del suo collega, ma dice che ciò non è possibile e mi tranquillizza in tutti i modi, che il collega è solo stanco e vuole andare in pensione, ma che devo stare sereno perché essendo lui il medico, ha la responsabilità di tutto e che era pensiero suo svolgere un buon trasporto.

Anziché stare a discutere con il medico preferisco acconsentire, tranquillizzo mio padre che io ero dietro con la macchina e partiamo da Malito verso Cosenza.

Arrivati al pronto soccorso mio padre entra subito nell’area dedicata alle prime cure e noi familiari restiamo fuori ad attendere. Mentre aspettiamo, riceviamo comunque notizie da persone che conosciamo e ci tranquillizzano che papà era già in cura. Verso ora di pranzo ci fanno entrare uno alla volta per degente e lo visitiamo.

Quando è il mio turno entro e trovo una situazione a dir poco drammatica! Un’area molto grande con corridoi e barelle ovunque, con così tanti ammalati che faccio difficoltà a trovare mio padre, nonostante sapessi più o meno dove si trovasse, grazie alle indicazioni che mi aveva dato mia madre che era entrata prima di me.

La sensazione che ho avuto in quel momento era quella di un ospedale da campo in zona di guerra. Un solo medico e diverso personale giovane tra infermieri e oss che andavano avanti e indietro in maniera dissennata. Non è assolutamente possibile lavorare in quelle condizioni per nessuno!

Trovo mio padre e mi avvicino a lui, dal lato sinistro, dal lato destro era impossibile perché c’era un altro degente quasi attaccato e mancava il passaggio e mi fermo a scambiare solo qualche parola con papà, visto che era attaccato all’ossigeno (ma non potevamo trasportarlo anche in macchina…?!) e non volevo farlo stancare e comunque il tempo per le visite era quasi finito, papà lì non ci voleva stare, voleva andare in un reparto con meno persone.

Andiamo via e torniamo alla sera per la visita a ora di cena, la situazione era un po’ migliorata, all’interno della sala c’erano meno persone e lo spazio per passare era più agevole. Stavolta mi sono avvicinato dal lato destro e riesco a permanere dei minuti in più rispetto alla mattina.

Mi dice che ha provato a chiamare la caposala ma non l’ha ne visto ne sentito, voleva sistemato l’attacco delle flebo che si era quasi del tutto staccato dal braccio. Al chè mi dice “chiamala tu perché vorrei chiamarla ancora io e picchiarla, ma non ce la faccio”.

Mi rendo conto che papà non ha voce e che i malati sono ancora tanti e queste sono cose che, considerata la situazione da guerra, possono capitare, quindi mi avvicino alla zona dei computer dove c’è il personale e m’informo sull’andamento delle cure. La situazione di papà è delicata e si sta valutando il reparto presso il quale spostarlo. Non ci sono posti forse in pneumologia e non si sa se accade nella notte o il giorno successivo.

Ne approfitto per una supplica a un ragazzo cubano, se poteva prestare un po’ di attenzione in più a mio padre, visto che non aveva nè voce e nè campanelli da poter suonare in caso di bisogno. Vado nuovamente da mio padre che mi dice con un filo di voce quanto è fiero di me, mi guardava con gli occhi di un bambino indifeso. Io lo tranquillizzo, gli dico che andrà tutto bene, che adesso è raccomandato e che le prossime cure probabilmente le farà in un reparto, cosa che lui voleva.

Ci salutiamo con reciproca commozione nascosta e vado via. Nella notte verso le 11 e mezza ricevo la chiamata dal reparto di pneumologia, un sussulto perché stavo riposando anche per la stanchezza accumulata nella giornata e mi dicono che papà è stato spostato in reparto.

Menomale. Mi appresto a mandare un messaggio a papà augurandomi che il trasferimento non sia stato troppo faticoso per lui, attendo un po’ per una risposta che non arriva e mi riaddormento.

Alle 7 del mattino, mentre mi stavo preparando per uscire di casa, mi arriva un’altra chiamata dal reparto di pneumologia: mi avvisano che papà non ce l’ha fatta, è deceduto verso le 5…

Dolore immenso, corro in reparto a prendere gli affetti personali e mi riferiscono che la salma sarà disponibile in obitorio dalle 8 in poi, per tanto non potevo vederlo prima.

Tra gli affetti personali mancava l’orologio e anche in seguito, in obitorio, papà arriverà sprovvisto del suo orologio che non si troverà più da nessuna parte in ospedale. Il dolore non è spiegabile per la perdita di una persona così cara, ma quando a questo ci aggiungi il contesto da me riportato in questo scritto, al dolore e alla sofferenza si aggiunge anche una indicibile rabbia.

Cassano Giuseppe