ECCO PERCHÉ TUTTA LA CALABRIA DEVE TIFARE PER BRUNORI SAS A SANREMO – di Francesco Colonnese, Avvocato e comunicatore istituzionale

“Non giriamoci tanto attorno, ad oggi Brunori SAS è il talento musicale più cristallino della nostra terra. No, non è l’unico, la lista di cantautori e musicisti di alto calibro made in Calabria è lunga: Eman, Cimini, N.A.I.P, il Maestro Filippo Arlia, Scarda e molti altri. Per non parlare poi di chi è già stato protagonista a Sanremo: Rino Gaetano, Mia Martini, Loredana Bertè, Sergio Cammariere, Aiello. Di punti di riferimento in ambito musicale ne abbiamo molti, Brunori SAS ma lui la stoffa per rappresentarli ed includerli tutti.
Lui è come quell’amico del tuo amico che organizza le feste a casa d’estate e sai che anche se non ti conosce ti fa entrare sempre e ti offre una birra. Dario è come quel rappresentante di classe che riesce a far fissare l’assemblea il giorno del compito di matematica, che tanto già lo sai che la settimana dopo il compito sarà ugualmente funesto ed il voto sarà quello lì, ma quell’ultimo sabato pomeriggio di spensieratezza intanto te lo sei goduto, al Metropolis o sul lungomare di Paola ci sei andato, magari proprio quel sabato che l’hai conosciuta.
Dall’11 al 15 febbraio al teatro Ariston di Sanremo andrà in scena la finale del festival della canzone italiana guidato da Carlo Conti. Su quel palco non ci sarà solo San Brunori da San Fili (festeggiato rigorosamente “il 31 d’agosto”), con la canzone “L’albero delle noci”, ma insieme a lui ci saremo anche noi, uno per uno. Perché tutte le sue canzoni parlano di noi. Guardia ‘82 parla di noi, una musica che ci fa chiudere gli occhi ed immaginare le spiagge calabresi degli anni ‘80 mentre siamo in metro a Piazza Bologna, o durante gli aperitivi malinconici di Brera. Guardia 82 ogni volta ci rievoca quella che è forse l’emozione più bella della nostra esistenza, quei momenti di gioventù in cui stavamo sulla spiaggia la notte di San Lorenzo a fissare le stelle tipo stargate ed intanto qualcuno suonava la chitarra vicino al falò.
E quindi? Tutta questa enfasi solo perché va a Sanremo quello di “la spiaggia di Guardia rovente era piena di gente”?
No Brunori non è solo Guardia, non è solo Lamezia-Milano. È Italian Dandy, è La Vigilia di Natale, è il Pornoromanzo, è Lei, lui, Firenze. Che poi onestamente il Biancosarti io neanche l’ho mai assaggiato, durante gli aperitivi, ma mi sembra di berlo da sempre e mi immagino davvero all’imbrunire con gli occhiali da sole di Mastroianni (Prada, ça va sans dire) in una di quelle sere d’estate tra i vicoli dietro Palazzo Vecchio.
Ma Brunori SAS non è solo quello, non è solo la velleità estetica del cantautorato indie, è anche e soprattutto il coraggio di scrivere l’Uomo nero ed Aldilà dell’amore in quegli anni lì. È il saper cantare e spiegare con garbo e pazienza in “Per due che come noi” (33 milioni di ascolti su Spotify) il senso profondo della convivenza a quelle coppie di lungo corso che stanno insieme da vent’anni e che convivono costantemente con il terrore della monotonia.
Ma soprattutto Brunori è quell’artista che ci ha detto “la verità è che ti fa paura l’idea di scomparire, l’idea che tutto quello a cui ti aggrappi prima o poi dovrà finire. La verità è che non vuoi cambiare che non sai rinunciare a quelle quattro, cinque cose a cui non credi neanche più”. E questa cosa noi non ce la diciamo mai. Non la ammetteremo mai.
Tra tre settimane dovremo gettare il cuore oltre l’ostacolo insieme ad un pazzo che ha detto che Camigliatello è come Seattle. E se Camigliatello è Seattle allora Reggio Calabria è San Francisco, Pizzo è Istanbul e Lamezia Terme è Abu Dhabi. E come fai a non sostenere uno che ti fa credere di essere a Seattle quando sei a Camigliatello Silano? Ma voi ci siete mai stati a Camigliatello? Io sì e Kurt kobain tra i vicoli non l’ho mai incontrato. Io non lo so se il grunge sarebbe mai potuto nascere a Montescuro, a Botte Donato o a Lorica
, ma vi posso giurare che dopo un panino con salsiccia, peperoni, patate mbacchiuse e caciocavallo ti senti davvero come Dave Grohl in Smells like teen spirit, quelle bacchette sul rullante le spacchi.
L’11 febbraio su quel palco saliranno Achille Lauro, Elodie, Rose Villain, Tony effe, Fedez, zero spazio per la polemica, viva la musica, sempre, rispetto massimo per tutti gli artisti, ma qui ora stiamo parlando di altro, non solo della gara, Sanremo non è solo musica, in quei 5 giorni quel palco è l’Italia. Da sostenitore di Brunori SAS non mi fanno paura i Modà, non mi fanno paura i The Kolors, non mi fa paura quel 34% del televoto oppure il 33% di Sala Stampa, tv e web e neanche mi preoccupa tanto il 33% assegnato dalla giuria delle radio.
Anche loro credo e spero che l’albero delle noci lo vedranno arrivare, proprio come noi. Francamente mi preoccupa di più Giorgia. Non sottovaluto, ma non temo Noemi, Rocco Hunt o Francesca Michielin, però mi preoccupa Lucio Corsi, Olly, mi fa paura Francesco Gabbani che due Sanremo (Giovani e Big) li ha già vinti e su quel palco è sempre un leone (occhio anche a Massimo Ranieri sulla fascia). Ma soprattutto mi fa paura, tanta paura, Simone Cristicchi, un grande artista che in giovinezza Sanremo lo ha vinto alzandosi su una sedia e con “Ti regalerò una rosa” ha dato una carezza a tante creature che combattono i mostri della propria psiche.
Si ripresenta a Sanremo con “Quando sarai piccola” una canzone che con la forza della maturità ribalta i ruoli tra genitori e figli, e parla di quel preciso momento in cui i figli si occupano dei loro genitori trattandoli con la tenerezza comunemente riservata ai bambini. Tra milioni di variabili e migliaia di universi paralleli in cui Brunori Sas si può giocare la partita, un duello finale con Cristicchi o Giorgia in top five è di sicuro lo scenario che personalmente temerei di più.
Però, riflettendo sui temi trattati nelle canzoni e preso atto che in Italia figli non se ne fanno più, neanche sotto tortura, credo che comunque arrivi un momento nella vita di una donna e di un uomo in cui le proprie radici devono essere messe al servizio del futuro e non il contrario. Nella competizione che per eccellenza riflette la nostra coscienza popolare al fotofinish, dunque, la canzone ispirata alla piccola Fiammetta Brunori la potrebbe spuntare.
Nessuno di noi naturalmente ha potuto ascoltare l’albero delle noci, ma in fondo questo neanche ha tanta importanza, la nostra sfida sarà saper proporre mediaticamente all’Italia una versione sana e 2.0 del nostro irrinunciabile campanilismo, uno spirito di appartenenza forte, ma che ci spinga a dare il meglio di noi stessi, il meglio di quello che possiamo offrire, anche a livello mediatico/virale.
Le redazioni online, le radio locali, le agenzie di comunicazione, si preparino per tempo a preparare le grafiche ed i contenuti che vorranno dedicare al nostro cantautore, non riduciamoci all’ultimo. Se nel privato abbiamo in mente di pubblicare qualche storia IG o qualche video nelle serate del festival pensiamo già da ora a come trasmettere l’armonia del momento o a valorizzare il vostro contesto qualunque esso sia. Perfino i “post tamarri” ed i “meme” si possono preparare in anticipo, con stile ed a tavolino.
Se l’albero delle noci ci piacerà votiamo Brunori SAS, senza però mai avere cadute di stile con il televoto, evitiamo effetti boomerang. Giochiamo lealmente. Il paradigma non è sostenere Brunori SAS perché è calabrese ed ha bisogno di noi. No, non ha bisogno di noi, è già un artista di calibro nazionale apprezzato in tutta Italia che verrà votato in tutta Italia e che a Giugno suonerà al Circo Massimo. È la Calabria che può e deve cogliere questa occasione saltando su un treno in corsa.
Naturalmente, neanche la vittoria di Brunori Sas a Sanremo riuscirà mai a cicatrizzare una qualsiasi delle ferite più profonde della nostra terra. Però potrebbe aiutarci definitivamente a capire che la Calabria è un brand. Il nostro unico, vero brand. Forse non il migliore, ma il nostro. Un’impresa a conduzione familiare da due milioni di persone sparse per il mondo.
L’unico partito che può unirci tutti.
Quindi della partecipazione di Brunori a Sanremo dovremmo farne una questione politica e di rivalsa sociale? Sì.”
Francesco Colonnese


