La sconfitta per 2-1 sul campo del Sudtirol ha decretato la retrocessione del Cosenza in Serie C, ponendo fine a un ciclo durato sette stagioni nel campionato cadetto. Un verdetto che, oltre a cancellare le residue speranze di salvezza diretta o tramite playout, influisce anche sugli equilibri delle quote. Le scommesse Italia riflettono direttamente questo colpo di scena e sono lo specchio di come i club si muovono in classifica. Il colpo di coda delle dirette concorrenti, tra cui Reggiana e Salernitana, ha contribuito a sancire il destino dei rossoblù, incapaci di uscire dal tunnel in cui erano entrati già da diversi mesi.
L’illusione di una rimonta si era riaccesa dopo il successo contro il Bari, ma la trasferta di Bolzano ha riportato il Cosenza a confrontarsi con i propri limiti strutturali e organizzativi. La retrocessione non arriva come un fulmine a ciel sereno, ma come il logico compimento di una stagione segnata da scelte sbagliate, penalizzazioni, errori tecnici e una gestione societaria mai davvero all’altezza del contesto.
Una stagione in salita, tra penalizzazioni e silenzi dirigenziali
Fin dall’inizio del campionato, il Cosenza ha mostrato una fragilità preoccupante. Dopo un discreto avvio, la squadra è progressivamente affondata, soprattutto nel girone di ritorno. Il dato più emblematico resta quello legato ai quattro punti di penalizzazione, frutto di irregolarità amministrative che hanno condizionato in modo decisivo la classifica finale. Un fardello pesantissimo che ha spento sul nascere le ambizioni di salvezza e ha messo a nudo l’inadeguatezza dell’organizzazione societaria.
Le contestazioni nei confronti del presidente Eugenio Guarascio non sono mancate nemmeno nella trasferta di Bolzano. Il malcontento della tifoseria non riguarda soltanto l’aspetto sportivo, ma si estende a un senso più profondo di disillusione: il club sembra aver smarrito la propria identità, incapace di costruire una visione di lungo periodo e di restituire alla piazza una prospettiva credibile.
Sudtirol-Cosenza, la partita che ha chiuso il sipario
Nella sfida decisiva al Druso, Alvini sceglie un modulo spregiudicato, il 3-4-1-2, con l’obiettivo dichiarato di fare bottino pieno. L’inizio è incoraggiante: al 18’ Mazzocchi porta avanti il Cosenza finalizzando un’azione orchestrata da Zilli. La reazione del Sudtirol è però immediata: dopo una serie di tentativi, arriva il pareggio al 45’ grazie a un tiro di Simone Davi deviato da Molina.
Il secondo tempo si apre con un cambio tattico da parte dei padroni di casa e con un Cosenza che prova a rispondere colpo su colpo. Tuttavia, il nervosismo prende il sopravvento. L’espulsione di Florenzi per doppia ammonizione lascia i rossoblù in inferiorità numerica. È l’episodio che spezza definitivamente l’equilibrio. Al 67’ è ancora Davi, questa volta autore diretto del gol, a condannare il Cosenza.
Il forcing finale è solo simbolico. Mancano lucidità, energie e – forse – anche convinzione. La salvezza, che sembrava già lontana, diventa definitivamente irraggiungibile.
La fine di un ciclo: Cosenza e l’eredità della Serie B
Il ritorno in Serie C chiude un ciclo iniziato sette anni fa proprio contro il Sudtirol, in un’altra sfida entrata nella storia del club: allora fu salvezza, stavolta è condanna. Il paradosso narrativo non sfugge a chi conosce le vicende rossoblù. Nel 2018 il Cosenza aveva battuto il Siena nella finale di Pescara, conquistando una promozione carica di entusiasmo. Da allora, salvezze raggiunte all’ultimo respiro e una serie di stagioni vissute sempre sul filo del rasoio hanno segnato il cammino del club.
Oggi lo scenario cambia radicalmente. La Serie C comporta non solo una riduzione del prestigio sportivo, ma anche l’inevitabile ridimensionamento economico. Sponsorizzazioni, diritti TV e bacino d’utenza non offrono le stesse garanzie, e il rischio è che la retrocessione apra una fase ancora più complessa. Affrontare club meno blasonati, ma spesso meglio strutturati, richiederà un ripensamento profondo dell’intera strategia societaria.
Guarascio nel mirino: La fiducia è finita
Il bilancio della gestione Guarascio appare oggi inevitabilmente negativo. Se è vero che il presidente ha tenuto il club lontano da fallimenti e vicende giudiziarie, è altrettanto vero che la mancanza di progettualità ha minato ogni possibilità di crescita. Il rapporto con la tifoseria è compromesso, e le proteste in trasferta sono soltanto l’ultimo segnale di una frattura difficile da ricomporre.
Non si tratta più di singole decisioni, ma di una cultura gestionale che sembra non tenere il passo con le esigenze di un calcio moderno. Senza una discontinuità netta, non solo tecnica ma soprattutto societaria, il rischio è che la retrocessione rappresenti non un punto di ripartenza, ma l’inizio di un lento declino.

