Non è stata solo una rappresentazione. È stato un rito collettivo, un miracolo di umanità e bellezza. Torano Castello ha respirato all’unisono con la sua gente, trasformando la piazza in un tempio vivo, dove l’anima della comunità si è rispecchiata nel teatro, nel racconto eterno di Manzoni

L’associazione Agorà ha fatto più di uno spettacolo: ha acceso un fuoco dentro ognuno, una fiamma di verità e sentimento che ha attraversato generazioni, storie, cuori.
Francesco Scarcello ha dato vita a un Don Abbondio che è molto più di un personaggio: è la fragilità umana fatta ironia e intelligenza, un uomo che fa ridere ma che allo stesso tempo ti fa pensare a quanto spesso ci limitiamo per paura.
Accanto a lui, Immacolata Basile è stata la Perpetua incarnata, vera come una donna di casa toranese, quella voce familiare che ti racconta la vita quotidiana con un sorriso malinconico.
Lucio Posterino ha fatto dell’Azzeccagarbugli un piccolo capolavoro comico, con quel linguaggio burocratico che oggi più che mai ti fa ridere amaro, perché ci riconosciamo tutti in quel labirinto di parole senza senso.
I Bravi che hanno fermato Don Abbondio “Questo matrimonio non s’ha da fare” sono stati interpretati con magistrale intensità dai fratelli Giancarlo e Palmiro Fazio, capaci di incarnare la minaccia e l’ironia in un equilibrio perfetto.
E ancora Andrea Sansone e William Mansueto, altri due Bravi straordinari, hanno dato al palco ritmo, tensione e uno specchio ironico dell’animo umano.
Poi Tonio e Gervaso: due personaggi che hanno portato risate sincere, e tra loro uno strepitoso Antonio Posterino, un Gervaso allegro, spontaneo, irresistibile, e Tonio interpretato da Emilio Pescatore Con i loro modi semplici e sinceri, hanno regalato attimi di leggerezza e autenticità che il pubblico ha accolto con cuore aperto.
E poi l’amore: Renzo e Lucia. Antonio Bova e Sara Gagliardi non hanno recitato, hanno creduto. Due anime semplici e immense, due simboli di speranza che resistono a ogni tempesta.Con loro, la grande Agnese di Annarita Vetere, madre coraggio che dà radici e ali a questa storia antica quanto il mondo. Quando Lucia prega, il silenzio si fa sacro, il respiro si ferma, e tutto il pubblico diventa parte di quel momento di grazia.
Il dolore più profondo ha attraversato la piazza con la Monaca di Monza, interpretata dalla giovane Sara Posterino e dall’adulta Giuditta Posterino: due voci che si intrecciano come lamenti, dolore vivo e reale, una ferita nell’anima di chi guarda e sente. E accanto a lei, l’ombra seducente e maledetta di Egidio, portato con forza e fascino da Ennio Perrotta, che ha saputo incarnare la corruzione dell’amore e l’oscurità del desiderio. La scena dell’addio ai monti ha graffiato i cuori, quel distacco amaro che tutti conosciamo, un momento di nostalgia che si fa struggente poesia.
Don Rodrigo, nelle mani di Samuel Vita, è stato la tentazione stessa crudele, affascinante, spietato.
Di fronte a lui, Padre Cristoforo, incarnato da Elio Vita, è stato il faro di fede e giustizia, la voce della speranza che non si arrende.
I tumulti di Milano hanno acceso la scena con energia travolgente, e Roberto Leone nel ruolo del Cancelliere Ferrer, ha dato voce a una giustizia asfissiante e burocratica, amara e attualissima.Il Conte Attilio, interpretato da Piero Domanico figura arrogante e spavalda, ha mostrato l’ipocrisia del potere cieco. Donna Prassede e Don Ferrante, interpretati con intelligenza e misura, da Flaminio Ruffo e Arianna Mansueto hanno rappresentato la falsa sapienza e il moralismo sterile.E poi il Nibbio, interpretato da Luigi Vetere, cupo e inquietante, presenza oscura che ha dato il volto al lato più brutale del potere.
L’Innominato, lacerato tra potere e pentimento, è stato portato sulla scena con intensità da Tonio Meoli. Il suo incontro con il Cardinale Federico Borromeo, interpretato da un profondissimo Franco Cipolla, è stato un vertice emotivo e spirituale dello spettacolo: il momento in cui la grazia abbraccia l’umanità , il punto in cui il male si arrende alla luce.
La Badessa, interpretata dalla coraggiosa e intensa Carmen Sansone, ha rappresentato l’autorità gentile ma ferma, la forza femminile spirituale. A lei, un grande in bocca al lupo: sta affrontando una battaglia personale, e questa compagnia le è accanto, come una vera famiglia.Suor Caterina, nella delicatezza di Nora Occhiuzzo, ha commosso con la sua dolcezza silenziosa, e la sua morte è stata un momento di struggente bellezza. La scena della piccola Cecilia sul carro dei monatti: una scena che ha spezzato il cuore e segnato la memoria collettiva, teatro allo stato puro. Un grazie sentito va anche alla grande interpretazione della mamma, Patrizia lise, che ha saputo trasmettere il dolore straziante di quel momento con autenticità e profonda umanità . E infine, le popolane, le voci della gente vera, madri, figlie, sorelle, che con forza e verità hanno dato carne e anima al popolo manzoniano.
Una menzione speciale va a tutti i bambini, di ogni età , che hanno preso parte alla rappresentazione. Piccoli grandi attori, pieni di entusiasmo, cuore e futuro. Le loro presenze hanno dato luce e speranza, rendendo il racconto ancora più vivo, ancora più vero. Ma nulla sarebbe stato possibile senza la guida di Samuel Vita, giovane con l’anima antica, regista, attore, visione e cuore.
E accanto a lui, Martina Meoli, instancabile, attenta, sempre presente: una presenza fondamentale che ha coadiuvato Samuel con dedizione e passione, dimostrando che il talento, quando è condiviso, si moltiplica e a Patrizia Salerno, che ha contribuito in modo prezioso e instancabile,
E infine, tutti ma proprio tutti coloro che hanno lavorato nel silenzio: chi ha cucito, montato, spostato, acceso, sistemato, accolto. I tecnici, i costumisti, i volontari, le mani dietro le quinte e sotto il palco. Angeli invisibili, senza microfoni né riflettori, ma con un amore sconfinato che ha reso possibile la magia. Un grosso in bocca al lupo a Natalia Caruso per una pronta guarigione, così come citato da Tonio Meoli all’inizio dello spettacolo, perché lo spettacolo si è aperto con qualche riga letta con il cuore dal presidente dell’associazione. Ogni cosa è riuscita alla grande. E se ho dimenticato qualcuno… chiedo scusa. Davvero. Perché siete stati tutti grandi. E come ha ricordato Elio Vita nel suo saluto conclusivo, ciò che ha reso davvero speciale questa esperienza è stata la forza del gruppo: l’unione, l’amicizia, la fratellanza. Valori profondi che hanno attraversato ogni scena, ogni gesto, ogni sguardo dietro le quinte. È grazie a questa coesione autentica che il teatro si è fatto comunità , e la comunità si è fatta teatro. Perché quella notte, Torano Castello non ha solo applaudito.
Ha creduto. Ha sperato. Ha vissuto.
Luca Vadino
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