Lettere 2.0: “Covid – Dall’abbandono domiciliare all’arresto consentito il passo è molto breve.”

Riceviamo lo sfogo di una nostra lettrice

 

 

“Dall’isolamento domiciliare, all’abbandono, all’arresto consentito, senza mancanza di prove, mi pare che il passo sia molto breve.

Il 17 novembre un test rapido, effettuato a seguito di perdita di gusto ed olfatto, apre le porte principali nella mia vita, al Covid-19.

L’Asp, due giorni dopo, conferma il tutto, attraverso un tampone molecolare con esito comunicato il 23 Novembre (5 giorni dopo) e con programmazione prossimo tampone per l’1 Dicembre.

Esito secondo tampone avuto tramite telefonata allo 0984-835583, domenica 6,

dopo svariate volte che il suono di un errore di chiamata si trasformava in orrore.

Quindi, correva il giorno 6 Dicembre.

Da quella data, io, diceva dopo mio sollecito l’Asp di Cosenza, ero negativa al virus.

Nessuno ha, però, fatto nulla, affinché io potessi tornare a poter mettere fuori il naso.

La prassi è, per chi non sapesse in che guaio, oltre alla malattia, ci catapulta il virus:

Positiva – Notifica Isolamento – Negativa – Comunicazione Asp al Comune di guarigione – Notifica fine isolamento.

Anche se, semplicemente, dovessero essere finiti i 21 giorni di isolamento previsto, la prassi non cambierebbe.

Quindi, un soggetto infetto, in piena solitudine, in una casa, oppure in una stanza e, se gli va bene ha qualcuno dall’altra parte della porta, o da un’altra abitazione, che si prenda cura di lui, vive, in silenzio questa situazione ed inizia a chiedersi se, il giorno dopo, arriverà una tosse, inizia a misurare con il saturimetro ogni affanno, i movimenti per portare il termometro al corpo e sapere la temperatura diventano quasi un tic nervoso, inizia a credere che tutto sia un sintomo, che gli aprirà le porte di in un ospedale al collasso, non ultimo, in termini di importanza, si chiede se le persone che l’hanno incontrato, anche in una vita precedente, siano stati infettati, sentendosi untore del mondo per un attimo, proprio lui, ad un certo, dopo questo trascorso, esce dall’incubo appena riassunto e viene catapultato in un altro: non ha il pass per tornare ad esistere.

Ma non è solo l’isolamento, quella notifica che il tuo incubo è finito, serve psicologicamente, a non farti sentire un pericolo per gli altri, a prendere consapevolezza che non si è più, i pericolosi da evitare.

Quando una persona entra in un sistema del genere, inizia a girare su una giostra che si chiama paura, che scacci con i pensieri razionali, con tutta la forza che hai, con tutta la positività che hai dentro, oltre ad un tampone, tiri fuori tanta lucidità, inizi a convincerti che non è una colpa essere lì, in quella situazione, ma una mattina, una qualsiasi mattina di questi giorni infiniti, semplicemente molli tu e mollano le persone a te vicine.

Il pass che attendo da giorni, non è per andare a fare uno sfrenato shopping natalizio, nulla in contrario, ognuno ha una sua visione del problema, spero solo che ci si ricordi che il rispetto delle regole, aiuterà tutti, ma serve a me, per sentirmi libera di respirare la stessa aria di qualcuno, senza, per questo, pensare di infettarlo.

Sta tutta lì dentro, la vera paura di questi mesi, secondo me.

Questo, è l’incubo del silenzio.

Nessuno risponde.
Non risponde l’Asp.
Non risponde il Comune di Rende, nel mio caso.

Non si risponde ad una mail e poi, qualcuno, come sempre nella nostra Terra, ti fa la classica domanda: “Ma non conosci nessuno?”

Vi sembrerà strano ma, sì, conosco un sacco di gente, ma sono stanca, di chiedere per vie traverse di fare andare avanti un sistema, sono stanca di chiedere un referto negativo per mari e mondi, per far tornare a scuola la figlia di una mia amica.

Sono stanca di chiedere, a tutti, come fare anche a donare il plasma, belle tutte le sensibilizzazioni che vedo sul tema della donazione, ma non rispondono neanche lì, sotto un mio commento ad una di queste notizie divulgate sui numeri da utilizzare per il discorso, una persona, gentilissima, mi ha dato un altro numero, non presente tra quelli che squillano a vuoto nella provincia di Cosenza ed, anche lì, nessuna risposta.

Siamo arrivati qui, ad oggi, 9 Dicembre, a chiedere quanto male abbia fatto, oltre alle vittime reali, questa pandemia, nella nostra città: ha, sicuramente, aperto gli occhi a tutti, spero anche le coscienze, su quanto nessuno di noi, amicizia o no, abbia vinto nella Regione in cui vive, che ogni giorno ci fa sentire abbandonati.

Ringrazio il dott. Sisto Milito, per avermi aiutata ed aver ascoltato il mio grido, in una situazione complessa, ma la stima e la volontà di uno, non salvano il territorio ed, anche lui, potrebbe avere tolto tempo ad altro, per me.

Comprendo che non è così che si sorregge un sistema.

Ora concludo, spiegando che, la mia missiva non è un attacco, ma, vuole essere, una sensibilizzazione ed una speranza, in questa seconda ondata, tanto prevista ed obiettivamente sottovalutata, che si possa provare anche da oggi, a cambiare qualcosa.

Tali parole, spero possano farci sentire capaci di non voltarci dall’altra parte, anche quando le cose non ci riguardano, dobbiamo imparare ad aprire gli occhi, non dimentichiamo questa realtà.

Il fatto che la Sanità Calabrese, sia un male incurabile da anni e non da adesso, non vuol dire che, da domani, non si possa fare qualcosa, affinché, i prossimi positivi al Covid nella mia condizione, possano avere la possibilità di vivere questo incubo, meglio di me.

L’esperienza insegna e noi, confermiamo ancora oggi, di essere un popolo senza memoria e, pertanto, senza futuro. Lo disse Pertini, molti anni fa e lo confermano i fatti. Impariamo a ricordare.”

 

Lucia Pesiri