Al British Museum di Londra riposa il famoso “Tesoro di Sant’Eufemia” – “Un capolavoro calabrese”

Nuovo interessante ‘racconto’ dei nostri bravissimi amici dell’Associazione Culturale Mistery Hunters

Questo il post diffuso sulla loro pagina ufficiale (di Alfonso Morelli):

“IL TESORO DI SANT’EUFEMIA: DALLA CALABRIA AL BRITISH MUSEUM

Oggi vi vogliamo portare in Inghilterra dove abbiamo avuto la fortuna di osservare da vicino uno dei tanti capolavori calabresi sparsi nel mondo, considerato dall’archeologo inglese Dyfri Williams “il più grande e importante ritrovamento di oreficeria della Magna Grecia”, stiamo parlando del famoso “Tesoro di Sant’Eufemia”.

Custodito oggi in una delle teche centrali della Sala 73 al terzo piano del British Museum di Londra nella sezioni dei reperti e tesori della Magna Grecia, questo insieme di monili in oro datati 300 a.C. proveniva dalla colonia greca di Terina. La fondazione di Terina, databile al primo ventennio del V secolo a.C. in base all’inizio della sua emissione autonoma di monete (480-460 a.C.), avvenne vicino al mare (molti studiosi pensano sul sito di un preesistente insediamento), nella zona identificata dagli scavi archeologici in contrada Giardini di Renda, con l’acropoli situata sull’altura di Sant’Eufemia Vetere circondata da una serie di piccoli suburbi.

Molti storici per secoli pensarono che la collocazione della città fosse da tutt’altra parte (Nocera Terinese, Tiriolo) ma gli scavi archeologici iniziati nel 1997 e proseguiti nel 2001, oltre al ritrovamento del Tesoro di Sant’Eufemia in contrada Terravecchia e di una piccola lamina di bronzo iscritta, conosciuta come “tabella testamentaria”, che conteneva la divisione di una proprietà, ritrovata nella stessa zona da Paolo Orsi nel 1914, sono considerati elementi chiave per l’identificazione di Terina.

Un’ulteriore conferma dell’esistenza della città scomparsa in questo territorio giunse nel maggio 2002, con il ritrovamento di una tavoletta di bronzo della prima metà del V secolo a.C. di grande rilevanza storica in quanto rappresenta la prima attestazione di un’iscrizione, sul litorale tirrenico calabrese, scritta con l’alfabeto delle colonie achee della Magna Grecia situate sulla costa ionica, come Sibari, Crotone e Metaponto, rafforzando l’ipotesi che Terina fosse proprio una colonia crotoniate.

In questo modo Crotone intendeva estendere il proprio dominio sulla costa tirrenica e garantirsi il controllo dell’istmo di Catanzaro, la più stretta striscia di terra dell’intera penisola italiana, assicurato già, sulla costa ionica, dal controllo di Skylletion. La sua importanza come centro economico e commerciale è confermata da autori come Plinio e Tucidide, secondo i quali il golfo di Sant’Eufemia prendeva il nome proprio dalla città, chiamato infatti “golfo terineo”.

Durante il IV secolo a.C., intorno a Terina, sorsero complessi rurali, mentre alla fine dello stesso secolo le popolazioni osche si insediarono nella piana. Dopo aver sventato un attacco ad opera del generale Cleandrida nel quadro della campagna di Thurii volta ad allargare il proprio dominio anche sulla costa tirrenica, tra il V e il IV secolo a.C. Terina entrò a far parte della Lega Italiota con lo scopo di tutelarsi dalla sempre maggiore aggressività dei Lucani trovandosi costretta però ad entrare nell’area egemonica dei Siracusani.

Terina, insieme a Hipponion, fu conquistata dai Brettii dopo il 356 a.C., ma mantenne la sua floridezza come testimoniato anche dalla monetazione che continuò anche sotto la nuova dominazione. Questa fu interrotta qualche decennio dopo dalla liberazione ad opera di Alessandro il Molosso che, durante la sua campagna in Italia, liberò Terina ed altre città greche dal dominio delle popolazioni italiche. Alla morte del Molosso però la città cadde nuovamente sotto il dominio bruzio fino all’inizio del III secolo a.C. quando insieme alla madrepatria Crotone e alla vicina Hipponion fu conquistata dal tiranno e re di Siracusa Agatocle.

Alla sua morte la città finì nuovamente sotto il dominio dei Brettii, i quali si schierarono con Annibale contro i Romani, in seguito alla sconfitta capitolina a Canne (216 a.C.). Tuttavia, nei dieci anni successivi, come racconta Strabone, i Romani iniziarono una graduale riconquista delle città greche e bruzie che si erano ribellate; per evitare che venisse conquistata e saccheggiata dei suoi tesori dai suoi avversari, tra il 204 e il 202 a.C., Annibale distrusse e rase al suolo Terina. Gli abitanti furono costretti a trasferirsi altrove e, con il passare del tempo, la memoria di questa leggendaria città si perse.

A partire dal 1997, gli scavi condotti dalla Soprintendenza per i beni archeologici della Calabria a Sant’Eufemia Vetere hanno portato alla luce una maglia urbana ortogonale, organizzata secondo i canoni greci, articolata per assi regolari orientati a Nord-Est, divisi da due strade parallele larghe intorno a 6 metri, che delimitano isolati all’interno dei quali si sviluppavano le unità residenziali dell’abitato. Nei quartieri sono emerse strutture murarie che delineano diverse aree all’interno degli edifici, alcune destinate a residenza e altre probabilmente utilizzate per attività lavorative e artigianali, seguendo un modello urbanistico diffuso in molti siti magnogreci dell’epoca ellenistica.

Le abitazioni, che si affacciavano verso un’area centrale, presumibilmente il cortile, erano fondate su basi realizzate con ciottoli di fiume e materiale di reimpiego (blocchi di calcarenite biancastra di estrazione locale, provenienti dalla spoliazione di una fase più antica), mentre le pareti erano costruite in mattoni crudi e le coperture formate da tegole fissate con coppi. Nel corso del tempo, la struttura regolare delle abitazioni è stata modificata, con cambiamenti e adattamenti dovuti probabilmente alle vicende storiche che hanno segnato i tre secoli di vita della città.

Ritornando al Tesoro di Sant’Eufemia, le versioni sulle modalità del suo ritrovamento non sono concordi, ma sicuramente molti sono i dubbi sulle procedure effettuate e i rimpianti su quanto fosse ancora più ricco rispetto a quello arrivato ad oggi. La narrazione più attendibile vede come protagonista Giovanni Giudice, soprannominato “Qualaro”, descritto come un “cretino”, che la mattina dell’8 aprile 1865, in contrada Elemosina a Sant’Eufemia Vetere, trovò per caso diversi oggetti scintillanti in un solco profondo scavato dalla pioggia torrenziale della notte precedente, nell’oliveto del signor Pasquale Francica di Monteleone (l’attuale Vibo Valentia).

Dopo averli raccolti, li mostrò a due compaesani, Francesco Montesanti e Antonio Zarra. I due, dopo aver raggirato il malcapitato facendosi vendere i monili “in cambio di pochi fichi secchi”, si fecero accompagnare sul luogo del ritrovamento e recuperarono altri oggetti, alcuni contenuti in un vaso, sparsi tra frammenti di ossa umane e pezzi di ceramica. Tutto fu poi consegnato ad una guardia campestre del fondo il quale trovò altri pezzi d’oro scavando intorno al fosso…

Qui il post competo con tutte le immagini: Associazione Culturale Mistery Hunters